20 dicembre 2007

decreto legislativo correttivo

Cari Ministri,
in vista della riproposizione, in separati provvedimenti, di alcune delle norme contenute nel decreto-legge 181/2007, vorrei richiamare i punti che, nel testo approvato dal Senato, destano - a mio parere - grave perplessita':


1) onere della prova di una durata del soggiorno inferiore a tre mesi (possibilita' di presentare all'ingresso dichiarazione di soggiorno; in mancanza, presunzione di durata del soggiorno pregresso superiore a tre mesi, salvo prova contraria);


2) caratteristiche delle risorse economiche richieste per il riconoscimento del diritto di soggiorno di durata superiore a tre mesi. E' stabilito, dal testo approvato in Senato, che tali risorse debbano provenire da fonti lecite e dimostrabili.




Riguardo al primo punto, osservo quanto segue:


1.a) In mancanza della dichiarazione (formalmente facoltativa), per provare che non si e' in Italia da oltre tre mesi, non basta dimostrare - poniamo - che si e' registrati in albergo da sole due settimane. E' necessario invece dimostrare che meno di tre mesi prima si era all'estero; il che e' molto piu' difficile.


1.b) Se la difficolta' di cui al punto precedente si rivelasse insormontabile, la dichiarazione diventerebbe, in pratica, obbligatoria. La cosa e' legittima, in linea di principio, in base alla Direttiva 38. Ma la Direttiva stessa prescrive che, ove quest'obbligo sia imposto, la violazione non possa comportare sanzioni sproporzionate o discriminatorie. E' ovvio che se dalla mancata dichiarazione finisce per discendere l'allontanamento (cioe' la negazione del diritto di soggiorno breve) la sanzione e' assolutamente sproporzionata. Per di piu', l'allontanamento sanzionerebbe solo l'incapacita' dell'interessato di dimostrare che tre mesi prima si trovava all'estero, dato che formalmente non vi e' obbligo di dichiarazione. Se questa non e' una sanzione sproporzionata!


1.c) Se deve esservi sanzione, deve esservi quanto meno l'obbligo esplicito della dichiarazione di presenza. Ma quest'obbligo deve prevedere tassativamente una scadenza entro la quale la dichiarazione va presentata (non meno di otto giorni, stante la disciplina vigente per gli stranieri non comunitari). Da un punto di vista pratico, pero', trattandosi per lo piu' di ingressi attraverso frontiera Schengen, questo si risolvera' in un fastidiosissimo obbligo di presentazione al commissariato per tutti i comunitari che siano ospiti di un amico, anziche' di un albergo. Salvo il fatto che sara' molto arduo far valere la disposizione: se il comunitario sara' intercettato e interrogato sulla durata pregressa del suo soggiorno, potra' ben dire: sono arrivato ieri, e programmavo di andare domani a presentare la mia dichiarazione alla polizia. Come dimostrera', il poliziotto, che non e' arrivato ieri, se non assumendosi l'onere della prova?


1.d) Si puo' pensare: la polizia nei fatti non molestera' il povero turista tedesco, ma fara' valere queste disposizioni solo nei confronti del presunto accattone rumeno. Ma questa si chiama applicazione discriminatoria delle norme. E, se anche la discriminazione non fosse effettuata su base etnica, ma su base di apparente censo, si tratta comunque di una introduzione surrettizia di un requisito di disponibilita' di mezzi ai fini del soggiorno breve. E questo e' contro la Direttiva 38.




Riguardo al secondo punto, osservo come si confonda la nozione di risorse con quella di reddito. Le risorse possono consistere anche in risparmi; e provare la legittimita' delle attivita' che hanno prodotto tali risparmi puo' risultare impossibile: davanti alla risposta fornita dal giovane tedesco - "questi seimila euro me li ha dati il babbo" - cosa faremo? indagheremo sulla liceita' delle attivita' del babbo?




Mi sembra che la disciplina che emerge da queste disposizioni in relazione ai casi in cui non vi sia pericolosita' sociale, ma solo dubbio sul possesso dei requisiti richiesti per il diritto di soggiorno, sia all'insegna del sospetto nei confronti del cittadino comunitario: e' lui che deve provare di essere da meno di tre mesi in Italia; ancora lui che deve provare che i soldi di cui dispone non siano frutto di attivita' criminale. Lo Stato, fino a che tale prova non sia stata fornita, presume che il soggiorno sia durato piu' di tre mesi, e che le risorse siano di fonte illecita.


Delle due l'una: o queste norme saranno applicate, senza discriminazione a tutti i comunitari, e allora tedeschi e francesi si arrabbieranno molto; o saranno applicate solo ai comunitari poveri, e allora si arrabbieranno molto i rumeni. In entrambi i casi, queste norme potrebbero incorrere nella censura della Corte di Giustizia.




Cordiali saluti
sergio briguglio

10 dicembre 2007

sicurezza, nordest e corriere della sera

Cari amici,
nell'articolo "Il Nordest e la giustizia fai da te" (Corriere della sera, 8 dicembre), Antonio Stella affronta il problema dei livelli di criminalita' effettivamente misurati nel nostro paese (e nel Nordest in particolare) e di come tali livelli siano percepiti dalla popolazione. L'articolo di Stella e' discutibile, come tutti gli articoli, ma chiaro ed argomentato. Fuorviante e' invece la presentazione grafica di alcuni dati (di per se' corretti) forniti da Marzio Barbagli. Quei dati sono contenuti nel Rapporto sulla Criminalita' in Italia, curato dal Ministero dell'interno in collaborazione con un gruppo di lavoro presieduto dallo stesso Barbagli, e il rapporto puo' essere scaricato dal link http://www.interno.it/mininterno/export/sites/default/it/sezioni/sala_stampa/notizie/sicurezza/0993_20_06_2007_Rapporto_Sicurezza_2006.html

Perche' la presentazione e' fuorviante? I dati sugli omicidi sono riportati nella forma (legittima, sia chiaro!) di "un omicidio per n abitanti". Al dato di ogni anno viene affiancata una striscia colorata di lunghezza proporzionale a... n. In questo modo la striscia piu' lunga (che il lettore frettoloso immagina associata alla situazione con maggior numero di omicidi) e', in realta', quella che corrisponde alla situazione piu' tranquilla. Per completare l'inganno, questa striscia e' riportata in colore rosso-pericolo, mentre le altre sono riportate in un celestino pallido e angelico. Si noti che la striscia incriminata e' proprio quella dell'ultimo anno considerato (il 2005). In questo modo, il lettore frettoloso si indigna per il pericolo che assedia ormai in modo intollerabile lui e i suoi cari, e non si accorge che il numero di omicidi per abitante e' diminuito, rispetto ai bei tempi andati (fine '800), di un fattore 16, e rispetto all'inizio degli anni 80, di un fattore 4.


Per quanto riguarda i borseggi, il grafico riporta accidentalmente i soli dati per il 1984 (circa 67 mila), per il 1996 (circa 115 mila) e per il 206 (circa 156 mila), uniti da una bella retta. (Per inciso: si tratta di una larga striscia rossa; si sa che per due punti, comunque collocati, passa una e una sola retta; i fisici sanno anche che per tre punti, comunque collocati, si puo' far passare qualunque retta, purche' abbastanza grossa...). Con quei dati, la retta e' impennata, ovviamente, verso l'alto, e il lettore frettoloso comincia a sentirsi le mani di un borseggiatore (probabilmente straniero) in tasca. Se e' meno frettoloso, e legge l'articolo, trova un po' di conforto, perche' scopre che, almeno a Padova, i borseggi sono calati, dal 2004 al 2005, del 19 per cento. Gli vien voglia di trasferirsi a Padova, infischiandosene del frignare dei sindaci del Nordest, pur di preservare l'esclusiva sulle proprie tasche. Se pero' andasse a leggersi i dati riportati nel Rapporto del Ministero dell'interno, troverebbe che i borseggi erano gia' 146 mila nel 1990 (a dispetto della modestissima presenza di immigrati in Italia) e piu' di 165 mila nel 1999. Il numero di borseggi, quindi, al di la' delle percezioni degli avventori del Bar Sport, non si sta affatto impennando. A dispetto, questa volta, della crescente presenza di immigrati.

Per quanto riguarda, infine, le rapine, vengono considerati, con la stessa parsimonia, i valori delle denunce presentate nel 1996 e nel 2006 (approssimativamente 31 mila, contro 50 mila: un aumento, in dieci anni, di oltre il 60 per cento). Si sorvola pero' sul fatto che nel 1991 (pochissimi immigrati presenti) le denunce per rapina erano state circa 40 mila. Qui un aumento c'e', e gli immigrati la loro parte la fanno, ma, insomma, dal '91 le rapine sono aumentate del 25 per cento; il numero di immigrati, di circa il 500 per cento...

E ancora: una tabella mostra che la frequenza di rapine agli sportelli (bancari e postali) e' in Italia spaventosamente piu' alta che negli altri paesi europei. Qui si tace il fatto che - lo dice il solito Rapporto - l'apporto della criminalita' straniera per questo specifico reato e' evanescente: nel 2006, il 3 per cento del totale per le rapine in banca; il 6 per cento per quelle negli uffici postali. Si tace anche che, tra gli stranieri denunciati per rapine in banca, prevalgono i tedeschi; tra quelli denunciati per rapine agli uffici postali prevalgono gli irlandesi (ancora dal Rapporto del Mininterno).


La criminalita', in Italia, e' un problema. Lo e' da sempre. Lo e', certamente, anche quella dovuta agli stranieri che vivono in Italia. La percezione comune dei problemi va tenuta nel debito conto per avviare l'analisi di quei problemi e per individuare le contromisure. Ma
a) la percezione spesso e' guidata ad arte da come la realta' viene cucinata da stampa e TV;
b) non si puo' far passare la percezione per analisi. Ne' ci si puo' far guidare dalla percezione per determinare le terapie. Nello stesso modo in cui, se un passeggero di un aereo di linea ha una crisi di panico e grida "non respiro piu', voglio uscire", merita tutta l'attenzione, ma non che gli si apra il portellone a diecimila metri da terra.


Cordiali saluti
sergio briguglio

7 dicembre 2007

decreto-legge 181/2007

Cari amici,
alla pagina di dicembre 2007 del mio sito (http://www.stranieriinitalia.it/briguglio) troverete un quadro sinottico del D. Lgs. 30/2007 (sui comunitari) e delle modifiche apportate dal decreto-legge 181/2007, nella versione attualmente in vigore e nella versione emendata dal Senato.


Ricordo che il Senato ha approvato ulteriori emendamenti che modificano altre disposizioni di legge. Il piu' importante, sotto il profilo della condizione giuridica dello straniero, e' l'emendamento che, modificando il Testo Unico sull'immigrazione, sostituisce il tribunale in composizione monocratica al giudice di pace per quanto riguarda convalide e ricorsi relativi ad espulsione e trattenimento nei CPT.


Trovo questa modifica molto positiva.


Riguardo alla normativa sui comunitari, il mio giudizio e' piu' complesso.


Ritengo che siano stati migliorati, in Senato, rispetto al testo originale del decreto-legge 181/2007, i punti relativi a


a) allontanamento motivato dalla pericolosita' sociale del comunitario o del suo familiare;


b) obbligo di presentazione al consolato per il cittadino comunitario o per il suo familiare allontanati per il venir meno dei requisiti (va bene, ora, un qualunque consolato italiano, non necessariamente quello del paese di cittadinanza).


Ritengo invece che il quadro sia stato peggiorato con riferimento a


a) onere della prova di una durata del soggiorno inferiore a tre mesi (possibilita' di presentare all'ingresso dichiarazione di soggiorno; in mancanza, presunzione di durata del soggiorno pregresso superiore a tre mesi, salvo prova contraria);


b) caratteristiche delle risorse economiche richieste per il riconoscimento del diritto di soggiorno di durata superiore a tre mesi. E' stabilito, dal testo approvato in Senato, che tali risorse debbano provenire da fonti lecite e dimostrabili.


Ho espresso le mie perplessita' sul primo di questi due punti nel messaggio di alcuni giorni fa. Anche il secondo punto, pero', mi sembra censurabile, dal momento che confonde la nozione di risorse con quella di reddito. Le risorse possono - a mio parere - consistere anche in risparmi; e provare la legittimita' delle attivita' che hanno prodotto tali risparmi puo' risultare impossibile.


Mi sembra che la disciplina che emerge da queste ultime modifiche in relazione ai casi in cui non vi sia pericolosita' sociale, ma solo dubbio sul possesso dei requisiti richiesti per il diritto di soggiorno, sia all'insegna del sospetto nei confronti del cittadino comunitario: e' lui che deve provare di essere da meno di tre mesi in Italia; ancora lui che deve provare che i soldi di cui dispone non siano frutto di attivita' criminale. Lo Stato, fino a che tale prova non sia stata fornita, presume che il soggiorno sia durato piu' di tre mesi, e che le risorse siano di fonte illecita.


Delle due l'una: o queste norme saranno applicate, senza discriminazione a tutti i comunitari, e allora tedeschi e francesi si arrabbieranno molto; o saranno applicate solo ai comunitari poveri, e allora si arrabbieranno molto i rumeni. In entrambi i casi, queste norme saranno fatte a pezzi dalla Corte di Giustizia.


Esagero?


Cordiali saluti
sergio briguglio

5 dicembre 2007

decreto-legge 181/2007 sui comunitari: l'onere della prova

Cari amici,
vi segnalo un emendamento criticabilissimo (a mio parere) al decreto-legge 181/2007 sui comunitari, che il Governo ha proposto in sede di conversione in legge (A.S. 1872):


1.300
IL GOVERNO
Al comma 1 premettere il seguente:
«01. All'articolo 5 del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, è aggiunto in fine il seguente comma:

"6. In ragione della prevista durata del suo soggiorno, il cittadino dell'Unione o il suo familiare può presentarsi ad un ufficio di polizia per dichiarare la propria presenza nel territorio nazionale secondo le modalità stabilite con decreto del Ministro dell'interno. Qualora non sia stata effettuata tale dichiarazione di presenza, si presume, salvo prova contraria, che il soggiorno si sia protratto da oltre tre mesi"».




Riporto in coda al messaggio l'illustrazione dell'emendamento fatta dal Ministro Amato in Senato.


Osservo quanto segue:


1) In mancanza della dichiarazione (apparentemente facoltativa), il provare che, come esemplifica il Ministro Amato, da due settimane sono registrato in albergo non prova che io non sia in Italia da oltre tre mesi. Per provare questo, dovrei dimostrare che meno di tre mesi fa ero all'estero; il che e' molto piu' difficile.


2) Se e' giusto quanto affermo nel punto 1), allora la dichiarazione diventa in realta' obbligatoria. La cosa e' legittima in base alla Direttiva 38, come giustamente dice il Ministro Amato. Ma la Direttiva stessa prescrive che, ove quest'obbligo sia imposto, la violazione non possa comportare sanzioni sproporzionate o discriminatorie. E' ovvio che se dalla mancata dichiarazione finisce per discendere l'allontanamento (cioe' la negazione del diritto di soggiorno breve) la sanzione e' assolutamente sproporzionata.


3) Nel caso in esame, per giunta, la sanzione deriverebbe solo dall'incapacita' dell'interessato di dimostrare che tre mesi prima si trovava all'estero, dato che formalmente non vi e' obbligo di dichiarazione. Se questa non e' una sanzione sproporzionata!


4) Se deve esservi sanzione, deve esservi, quindi, quanto meno l'obbligo esplicito della dichiarazione di presenza. Ma quest'obbligo deve prevedere tassativamente una scadenza entro la quale la dichiarazione deve essere presentata (non meno di otto giorni, stante la disciplina vigente per gli stranieri non comunitari). Da un punto di vista pratico, pero', se il comunitario viene intercettato e interrogato sulla durata pregressa del suo soggiorno, potra' ben dire: sono arrivato ieri, e programmavo di andare domani a presentare la mia dichiarazione alla polizia. Come dimostrera', il poliziotto, che non e' arrivato ieri, se non assumendosi l'onere della prova?


5) Si puo' pensare: la polizia nei fatti non molestera' il povero turista tedesco, ma fara' valere queste disposizioni solo nei confronti del presunto accattone rumeno. Ma questa si chiama applicazione discriminatoria delle norme. E, se anche la discriminazione non fosse effettuata su base etnica, ma su base di apparente censo, si tratta comunque di una introduzione surrettizia di un requisito di disponibilita' di mezzi ai fini del soggiorno breve. E questo e' contro la Direttiva 38.


Cordiali saluti
Sergio Briguglio




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AMATO, ministro dell'interno. Signor Presidente, l'emendamento 1.300 tocca lo stesso tema su cui si è soffermato il senatore Pastore. Bisogna però mettersi d'accordo su cosa si sta discutendo. Si prevede, allo scopo di dare data certa all'ingresso, che la persona interessata venga a fare una dichiarazione di presenza. Secondo la direttiva non è l'iscrizione all'anagrafe, che secondo il decreto legislativo deve comunque fare ai fini di una presenza di 3 mesi, ma una dichiarazione di presenza prevista a parte dall'articolo 5, comma 5, della direttiva comunitaria.
Il tema al nostro esame è quello di dare data certa all'ingresso per non consentire alla persona eventualmente fermata di rispondere che secondo la direttiva deve dimostrare di avere i mezzi se si trova nel nostro Paese da almeno tre mesi. In realtà, potrebbe dire che si trova in Italia soltanto da due settimane, e che quindi non è ancora tenuto a dichiararla. Disporre di una data certa è dunque estremamente importante.
Ladata certa va prevista in modo da non sottoporre le migliaia e migliaia di turisti che arrivano, dalla Germania ad esempio, sulla costa romagnola ad un obbligo specifico in assenza del quale si possono trovare nei guai. Pertanto, si prevede che la persona, in ragione della prevista durata del suo soggiorno in Italia, faccia una dichiarazione che garantisce la data certa. Se la persona in questione prevede di restare in Italia e di soggiornare presso un albergo di Cattolica non ha ragione di fare una dichiarazione in tal senso. Basta che quella persona si rechi presso la struttura alberghiera e si registri in modo che a chiunque dovesse chiedere notizie rispetto alla durata del suo soggiorno quest'ultimo potrebbe rispondere di fare un controllo presso la suddetta struttura alberghiera e verificare le sue generalità, la data di arrivo e quella di partenza.
In questo senso io preferisco tale formula a quella illustrata dal senatore Pastore il quale, se non ho capito male, fa riferimento all'iscrizione all'anagrafe. Mi permetto sommessamente di osservare che tale iscrizione non ha finalità di pubblica sicurezza. Tra la finalità di pubblica sicurezza e lo sfizio dello Stato di iscrivere la gente in qualche registro, va considerata la tematica della certezza dei rapporti giuridici ai quali in realtà corrisponde l'iscrizione all'anagrafe. Quest'ultima serve a far sapere allo Stato chi vive con chi, chi è padre di quale figlio, il luogo di residenza e quant'altro. È su questo che si reggono i rapporti tra cittadini e non cittadini.
Anche se lo farei, dall'emendamento 1.300 non può risultare che tale dichiarazione ha finalità di sicurezza e di ordine pubblico perché ciò darebbe luogo ad una procedura di infrazione. La direttiva, lo ripeto, vuole tenere distinto il canale dell'espulsione per ragioni di pubblica sicurezza da quello dell'allontanamento per violazione degli obblighi legati alla pura presenza sul territorio. Se uno di questi obblighi lo connetto alle ragioni di pubblica sicurezza unifico i canali che la direttiva chiede al nostro Paese di tenere distinti. Per questo motivo ho sottolineato in precedenza che in effetti un problema esiste - in questo do ragione al senatore Pastore - ma che lo si può risolvere soltanto modificando la direttiva, non bypassandone i divieti.

In relazione a ciò si prevede che la violazione degli obblighi che mi portano all'allontanamento ha l'effetto di cancellare l'iscrizione anagrafica (emendamento 1.301), con le conseguenze che ciò comporta ma non altre. Inoltre, non ha bisogno di essere illustrato l'emendamento 1.302 che riprende una questione emersa nella discussione con riferimento a risorse economiche sufficienti derivanti da fonti lecite e dimostrabili. Nella mia replica lo avevo in qualche modo già illustrato.