1 aprile 2011

possibili provvedimenti rispetto ai fatti di lampedusa

Cari amici,
vi propongo alcune riflessioni sulla questione Lampedusa. Le ho esposte, in parte, nel corso di una trasmissione sul tema messa in rete dalla web TV Youdem (http://www.youdem.tv/VideoDetails.aspx?id_video=d1ee4532-74f0-42ea-8fc1-4db03b2db0c0).

Nel proporvele, ho chiaro che si tratta di un punto di vista molto parziale e basato su informazioni e dati tutt'altro che definitivi. Vi saro' grato quindi se mi farete avere osservazioni critiche.

Parto da alcune affermazioni:

I) I diritti fondamentali delle persone, quali il diritto d'asilo, devono essere tutelati senza alcuna considerazione di opportunita' o di convenienza. Il perseguimento dei legittimi interessi degli individui puo' invece trovare un limite nell'interesse, non meno legittimo, di altri individui e/o di una comunita'.

II) La sovranita' di uno Stato e' cosa troppo importante perche' altri Stati o singoli individui possano disporne a piacimento.

III) Le norme sull'immigrazione in vigore in Italia tengono in scarso conto - lo riconoscono ormai quasi tutti - la realta' dei movimenti migratori. Vi sono pero' violazioni di queste norme, tacitamente accettate da un ventennio, che riavvicinano la prassi di gestione del fenomeno al dato reale (un esempio e' l'overstaying, con la susseguente regolarizzazione ottenuta con l'uso improprio del decreto-flussi). Ve ne sono altre (l'attraversamento del Canale di Sicilia, tra queste), che mettono a repentaglio la vita di chi le attua e l'equilibrio della comunita' che le subisce (es.: la comunita' lampedusana).

IV) Quando due Stati siano separati dal mare e vi sia un flusso di immigrazione illegale da uno Stato all'altro, il diritto internazionale offre a quest'ultimo strumenti molto scarsi a sostegno della riammissione dei migranti nel primo. Il diritto consuetudinario impone infatti allo Stato da cui origina il flusso di riammettere i migranti in base al presupposto di appartenenza, non a quello, piu' ampio, di semplice provenienza.

V) Lo Stato italiano deve muoversi, in questo momento, tenendo conto di tre obiettivi:

a) tendere una mano alle popolazioni della sponda meridionale del Mediterraneo, in una fase di rinnovamento intrinsecamente positivo;

b) affermare la propria sovranita' nelle decisioni che riguardano la gestione interna (e' l'Italia che decide se derogare alle proprie disposizioni interne; non gli altri Stati, ne' i cittadini di un altro paese);

c) dare un segnale che non incoraggi, per il futuro, i flussi via mare, quando questi siano mossi non dall'esigenza di tutelare un diritto, ma dal semplice perseguimento di un legittimo interesse.

Da queste premesse, ricavo, tenendo conto della normativa vigente, le considerazioni seguenti:

1) Chi chiede protezione internazionale ha ovviamente diritto a veder esaminata la sua richiesta, con le procedure ordinarie.

2) Per chi non chiede protezione si aprono tre strade (piu' una di cui diro' alla fine):

a) l'adozione di un regime comunitario di burden sharing, sulla base di una decisione del Consiglio europeo con la quale si riconosce l'esistenza di un afflusso di massa (Direttiva 2001/55/CE). A tale decisione farebbe seguito l'applicazione del D. Lgs. 85/2003 e la conseguente adozione di un Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ex art. 20 D. Lgs. 286/1998, con il quale si definisce, in ambito nazionale, il regime di protezione temporanea;

b) l'adozione autonoma da parte dell'Italia, di un DPCM ex art. 20 D. Lgs. 286/1998 e del corrispondente regime di protezione temporanea, con possibile deroga alle altre disposizioni di legge. In Italia un provvedimento di questo genere e' stato adottato nel 1999, in occasione dell'esodo dal Kossovo (http://www.stranieriinitalia.it/briguglio/immigrazione-e-asilo/2008/aprile/dpcm-12-5-1999.pdf);

c) il respingimento in base alle ordinarie disposizioni del D. Lgs. 286/1998.

3) La soluzione 2a ha l'indubbio pregio di responsabilizzare l'intera Unione europea in relazione ad una situazione che la riguarda non meno - certamente - di quanto la riguardi la guerra civile libica. Che gli altri Stati membri della UE siano restii ad accettarla e' comprensibile. L'Italia, pero', ha uno strumento molto semplice di pressione: l'adozione autonoma di un regime di protezione temporanea con rilascio di permessi di soggiorno per motivi umanitari a tutti coloro che siano sbarcati in questi ultimi due mesi (soluzione 2b). Ne seguirebbe, per costoro, liberta' di circolazione intra-europea di breve durata (fino a tre mesi). Il permesso per motivi umanitari e' incluso, infatti, tra quelli che consentono tale circolazione. Dopo un po', la Francia (per esempio) sarebbe costretta a ricevere un flusso di "turisti" tunisini soggiornanti in Italia, senza avere alcuna possibilita' di rinviarli in Italia prima che siano scaduti i tre mesi e con scarse probabilita' di rintracciarli al termine di tale periodo.

Notate che, invece, l'adozione di un regime comunitario di protezione temporanea ai sensi della Direttiva 2001/55/CE impedirebbe ai beneficiari di lasciare il territorio dello Stato cui e' toccato di accoglierli (art. 11 Direttiva 2001/55/CE e art. 10 D. Lgs. 85/2003). Permetterebbe, quindi, restituzioni analoghe a quelle viste in questi giorni alla frontiera di Ventimiglia.

4) Le soluzioni 2a o 2b vanno benissimo per chi e' arrivato, ma mandano un segnale chiaro di invito alle popolazioni non europee del bacino del Mediterraneo: venite a Lampedusa, che' la cosa funziona. Se si manda un tale messaggio, e' possibile che il flusso vada fuori controllo. Puo' essere forse un modo diretto ed efficace di cooperare alla crescita dei paesi nordafricani. Vietato pero', poi, strapparsi le vesti perche' un barcone affonda e muoiono dei bambini. Vietato anche strapparsi le vesti in caso di ripresa di una politica di respingimenti in mare del tipo di quella praticata dal governo italiano negli ultimi due anni.

5) Se, sulla base della considerazione precedente, si opta per la soluzione 2c (respingimento), il problema e', oggi, la riammissione in Tunisia. C'e' un accordo del 1998 (http://www.stranieriinitalia.it/briguglio/immigrazione-e-asilo/2011/marzo/accordo-italia-tunisia-1998.pdf) con il quale la Tunisia si impegna a riprendere in tempi brevissimi (quattro giorni, inclusi quelli festivi, per il rilascio di un lasciapassare) le persone da allontanare, a condizione che sia dimostrata la loro nazionalita' (notate: non la provenienza, come buon senso vorrebbe). La dimostrazione puo' basarsi, oltre che sul possesso di documenti di identita', anche su una semplice dichiarazione dell'interessato (Cap. II, paragrafo 5, dell'Accordo).

Notate che sulla base di quest'accordo la Tunisia ha ottenuto, dal 1998 a quest'anno, quote riservate nell'ambito del decreto-flussi (29.350 ingressi in totale), oltre alla possibilita' di chiamata di lavoratori stagionali.

6) Questi essendo i termini dell'accordo vigente, come ottenere la collaborazione dell'interessato (nella forma di esibizione di documenti o dichiarazione di nazionalita')? Un modo e' quello di utilizzare, in modo diverso da quello standard, lo strumento di cui all'art. 20 T.U.: si adotta un DPCM che preveda

a) la compilazione di liste contenenti le generalita' e la cittadinanza dei cittadini stranieri sbarcati fino al giorno di pubblicazione del decreto;

b) il rilascio di un visto di ingresso (nota bene) a chi, iscritto nelle liste, ne faccia richiesta entro un certo termine;

c) il rilascio, a chi faccia ingresso con tale visto, di un permesso per motivi umanitari, con facolta' di svolgimento di attivita' lavorativa e di studio, e con possibilita' di conversione in altro permesso.

Notate che scopo di una misura di questo genere (che puo' certamente essere giudicata poco lineare) e' quello di conciliare l'esigenza di prospettive economiche per chi e' (gia') sbarcato con l'esigenza dello Stato italiano di effettuare, senza ostacoli impropri, il respingimento.

Notate anche che la deroga alle disposizioni vigenti non investirebbe disposizioni relative a sanzioni penali. Quelle relative al reato di soggiorno illegale gia' prevedono, infatti, che in caso di allontanamento effettivamente eseguito (cosa possibile, una volta accertata la nazionalita') il giudice di pace pronunci sentenza di non luogo a procedere.

7) Quale che sia la soluzione adottata tra quelle di cui al punto 2, e' assolutamente necessario negoziare con la Tunisia, come pure con gli altri paesi che si affacciano sul Mediterraneo, un accordo piu' efficace di quello esaminato: un accordo che condizioni la riammissione alla semplice dimostrazione di provenienza, anziche' di nazionalita'.

In cambio, la Tunisia (o qualunque altro paese contraente) potrebbe ottenere, oltre ad altri vantaggi commerciali, una congrua quota di ingressi per lavoro e per formazione per i prossimi anni, nonche' un impegno a realizzare progetti di formazione all'estero ex art. 23 D. Lgs. 286/1998 e, nei fatti, una facilitazione nel rilascio dei visti di ingresso per turismo.

Notate che quest'anno, a fronte di una quota riservata alla Tunisia di 4.000 ingressi, sono state presentate piu' di 11.500 domande. Un ampliamento delle quote, unitamente ad una facilitazione del rilascio di visti di ingresso per turismo consentirebbe un significativo assorbimento di overstayers tunisini. Che differenza c'e' - direte voi - tra l'assorbimento di overstayers e quello di sbarcati? Il primo corrisponde all'andamento fisiologico dell'immigrazione in Italia (almeno finche' le leggi non verranno cambiate), il secondo a un rischio grave per le persone, ad uno stravolgimento della vita della comunita' lampedusana e ad una violazione difficilmente accettabile della sovranita' nazionale.

Un'osservazione: la collaborazione del paese-controparte dovrebbe consistere nel riprendere il cittadino respinto quando questi sia partito dalle coste del paese stesso, non nell'impedire alla gente di partire da quelle coste: questo, infatti, mette a repentaglio il diritto d'asilo di chi, per qualunque ragione, stia fuggendo da rischi per la vita o per la liberta', e non e' molto diverso dal vituperato respingimento in mare.

8) Diverso e' il problema se l'ostacolo non consiste nell'accertamento della nazionalita', ma piuttosto nel rifiuto della Tunisia di applicare l'accordo. Se questo e' il caso, la normativa sull'immigrazione non c'entra nulla. E' un problema di politica estera, e si tratta di dimostrare che esistono vie di mezzo ragionevoli tra il baciare la mano ai capi di Stato e il bombardare i loro paesi.

9) Se nessuna di queste soluzioni piace, si puo' sempre adottare (rectius: continuare ad adottare) la soluzione all'italiana. E' sufficiente trasferire le persone sbarcate in Centri di accoglienza o in CARA. Si tratta di centri che lo straniero puo' lasciare in qualunque momento. Perche' tale collocazione abbia fondamento giuridico occorre che la persona manifesti l'intenzione di chiedere asilo prima che a suo carico venga adottato un provvedimento di respingimento; ma, insomma, e' sufficiente non essere troppo solleciti nell'adottare un tale provvedimento... Mi risulta che, in queste settimane, di quanti sono stati portati via da Lampedusa, circa 9.500 persone sono state ospitate in tali centri aperti, con oltre 7.000 casi di sopravvenuta irreperibilita'. Se poi l'interessato proprio non vuole chiedere asilo, se ne dispone il trattenimento in CIE, scoprendo subito dopo che i CIE sono saturi: gli si da' allora l'ordine questorile di lasciare l'Italia entro cinque giorni, e, trascorso quel termine, non ci si affanna troppo a verificare che abbia ottemperato all'ordine.

Cordiali saluti
sergio briguglio

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